domenica 23 dicembre 2012

Non si scrive più, non si ride più, non si dorme più.
E ci sarebbe un casino da scrivere e un pochino da ridere e da dormire più di tutto.
E anche volendo pensare non so proprio che pensare, perché ci provo a guardare avanti ma capisco che non dipende da me. E non ho un cazzo di voglia di sapere se farete un bambino e forse si può fare anche a meno della stabilità. Si può giocare tutta la vita coi lego, smontare e rimontare. Ricordo che io avevo una predilezione per quelli verdi, quelli del giardino, e avevo anche le margherite che si radicavano per bene.
Ma brindiamo pure, oppure non brindiamo affatto, non aspettiamo, non alziamo il bicchiere ma portiamolo subito alla bocca. Spero che la birra abbia un po' di schiuma, di solito mi fa schifo ma da un po' mi sono abituata a quell'amaro, è un po' come il sapore che ti trovi in bocca quando ti svegli dopo una sbronza. Te lo meriti e non basta lo spazzolino.
Mi sento così, che non ho voglia di leggere e che guardare i film poi mi mette tristezza perché nella vita non va mai così, né che finiscano bene né che finiscano male. È tutto troppo impegnativo.
Anche avere un blog, anche avere dei ricordi, anche ancora.

lunedì 24 settembre 2012

È ovvio.

Quando scopro che le parole dicono esattamente quello che vorrebbero dire mi sento bene.
Le farfalle nello stomaco, gli arti informicolati, la testa fra le nuvole. È davvero così.
Quando scopro un'ovvietà, una cosa che avrei dovuto sapere da sempre, mi sento ancora meglio.
La pioggia bagna. Sono come il primo uomo scimmia, e penso che dovrebbe essere sempre così. Che c'è da stupirsi di tutto, perché alla fine non so niente.
E vorrei fosse tutto così rassicurante, come una tautologia. Mi vorrei ripetere, ma ripetere non serve a fare chiarezza. Ma ditemi che oggi è lunedì, che è mezzogiorno e mezzo, che fuori piove perché è così.
E io oggi voglio sentirmi meglio.


mercoledì 2 maggio 2012

Buongiorno amore

Alle sette e mezza la gente parla già al telefono di lavoro.
Alle sette e mezza non è più difficile alzarsi, perché c'è già il sole. Anche se non è ancora caldo.
Alle sette e mezza mi manchi terribilmente. Mi sono svegliata e non c'eri.

mercoledì 21 marzo 2012

Senza soffitto. Senza cucina.

Mi sono trasferita.
Alla fine la casa l'ho trovata, di fretta e con rassegnazione.
In casa ci sono anche un frocio e il suo chiwawa. Quel cane è così piccolo che ancora non sa a che genere appartiene, quindi possiamo dire che siamo tutti della stessa razza.
So che non sarà mai casa mia.
Ora ci attaccherò il posterpresoallasettimanafigadeldesainalondra, una foto di quando ero piccola, una della camera di Giovanni Pascoli che mi mette una tristezza infinita e non so perché ce l'ho. Ho già sparso in giro un po' di animali. La giraffa che è venuta con me in Spagna, i gufi, il piccolo nanetto di semi, i pesci da mettere al collo. C'è anche un gabbiano di ceramica ma per ora non vola perché non so da dove fargli spiccare il volo.
Il muro è da ridipingere, staccando la plastica è venuto via l'arancione di fondo. Pendono il cavo dell'adsl-che-non-ci-sarà-mai-più e un interruttore. Ma la bruttezza non sta qui.
È dover vedere tutte quelle creme che non saprei nemmeno dove mettere, nel porridge con le fragole della mattina, nel dover rispondere continuamente "no, grazie", o sentirmi dire "ci faremo un viaggetto a Madrid" dopo 4 ore che ci conosciamo, nel dover parlare.
Non ho quasi niente da dire e non ho voglia di ascoltare. E quando arriva la sera voglio solo dormire, non voglio accarezzare un chiwawa pezzato che assomiglia a una vacca mora. Nemmeno farlo giocare.
E quando mi sveglio la mattina ho lo sguardo annebbiato e i capelli in disordine. Allora li lego. Mi lego anch'io.
Mi dice che la mattina non vanno bene i biscotti perché si mettono tutti sui fianchi.
Mi dice che i miei amici mangiano pesante, scandalizzato per una pasta con i broccoli cucinatami alla sera.
Mi dice che lui non è per il gaypride, perché le manifestazioni sono per contestare, invece lì cosa c'è da contestare, l'omosessualità è normale. E poi tutto quel circo e poi ci sono anche i transessuali, che schifo.
Io rientro e lo sento biascicare uno spagnolo imbarazzante. Ha conosciuto un ragazzo di Madrid in chat. Con lui non è solo sesso. Perché qui a Milano tutti se la tirano e pensano solo al sesso sesso sesso sesso sesso. Sesso sesso sesso sesso sesso sesso.
È così patetico da non riuscire a suscitarmi tenerezza. Se solo scopasse.
In questa casa non c'era una mensola, non c'era un libro. Nemmeno il cucchiaio d'argento o cotto e mangiato.
A me torna in mente la canzone dei Endrigo. C'era una casa molto carina. Chissà dov'è.
Poi penso che devo ancora attaccare il tuo biglietto. E che quel materasso troppo molle e allo stesso tempo spinoso ti deve ancora ospitare. Ma forse il tuo biglietto si rovina su quel muro brutto. Forse arriverai tu e sarà tutto bello.


venerdì 9 marzo 2012

Pro forma.

C'è chi per riempire il vuoto parla, parla in continuazione, o conosce gente o se la scopa o chi crea.
Io tolgo. Passo la serata in compagnia della pinzetta e al mio vuoto ci do forma, lo stuzzico.
L'ho sempre fatto, anche al mare. Niente mi rilassa di più.
E visto che non ci riesco a dare forma al mio corpo obbligandolo alla palestra, alla piscina o alla dieta, spinzetto con maniacale passione.
Si tratta di raggiungere la perfezione, una perfezione liscia e sfuggente, alla quale segue la crema. Ma appena ti sembra di averla raggiunta – dopo ore, collo bloccato e gambe atrofizzate – bè, ti accorgi che è precaria, perché basta un giorno, o anche solo una luce diversa a vanificarla.
Mi sento inerme ma non abbastanza, solo un po'. Solo un po' stanca.
Vorrei che qualcuno mi prendesse per mano, aprisse una porta e appoggiando una grande valigia sul pavimento mi dicesse "sei arrivata a casa".
Anche un "non ti preoccupare di niente" sarebbe gradito, ma non esageriamo.
E quasi quasi a questo post ci metto come etichette scooter, vacanze, autunno come mi suggerisce blogspot che a loro modo potrebbero avere senso.
Comunque non sono triste so solo che ho ancora tanto da fare.

giovedì 1 marzo 2012

Al ladro.

Ho acceso il computer solo per guardarti fare il coniglio, perché continuo a ripensare a quel bacio che mi hai dato sulle scale. Non importava niente.
E poi una lunga sera di stronzate, di parole per riempire, per far passare il tempo, perché si deve pur dire qualcosa. Tanta gente per sentirsi soli, estranei.
Poi la stessa fermata, lo stesso autobus di ieri sera. Mancavi tu.

venerdì 17 febbraio 2012

Stasera sulla 43 mi è presa una tristezza profonda.
Non avevo voglia di riempire questa serata, non avevo voglia di chiamare nessuno. Vedere chi? Per poi sforzarmi di essere brillante, di divertirmi. No, meglio la tristezza. La tristezza è un rifugio e non ti chiede niente.
I cinesi che passavano guardando in basso hanno aumentato la sensazione di estraneità.
Non appartengo a nessun luogo, lo penso ormai da anni. Dov'è casa? Non so rispondere. E non è perché in questi giorni la sto cercando. Se avessi preso il treno sarebbe stato lo stesso, allora risparmiamo questi 60 euri che poi riesco anche a farmi un'altra lavatrice.
Ma non me la sentivo ancora di andare a sedermi in cucina, prepararmi la vellutata in busta o un uovo. Mangiare senza la tovaglia e poi prendermi il lusso di non lavare i piatti, un lusso che solo la solitudine ti consente.
Sono davvero poche le persone che in fondo mi piacciono, e anche i posti.
In tutto questo ho deciso di andare al supermercato facendo una curva a gomito con i passi, in piena zona pedonale. Il doppio carrello del Carrefour mi ha accolto con garbo, mi ha fatto poggiare il cappello, la sciarpa, la borsa. Ho trovato anche il cacao amaro che cercavo. E poi cosa cercavo? Sì, il dentifricio, le fette biscottate per la colazione. Non mi serviva niente.
Mi sono persa per le corsie, tra i barattoli. Ho soppesato le offerte, pensando a cosa c'era nel mio frigo, dietro le ante dei mobiletti, come se avessi settant'anni, pensando in avanti. Ho preso anche gli assorbenti in offerta anche se il ciclo ormai non si vedrà fino al prossimo mese. Lungimiranza e parsimonia, nonna saresti orgogliosa!
Forse c'era anche la musica di sottofondo, e poi c'era poca gente, perché le otto erano passate e quasi mi sono sentita a casa. Perché al supermercato non manca niente e la dolcezza la puoi comprare con lo Shampoo Johnson's baby o con i biscotti al cioccolato, il calore con una bustina di te. E poi c'è la forza degli spinaci e la goliardia del reparto birra e superalcolici.
È da giorni che voglio dirti che mi sono innamorata di te, forse poi te lo dico.

giovedì 2 febbraio 2012

Marsiglia

Stasera è una di quelle sere in cui è difficile trovare le forze per qualunque cosa. Anche per mangiare. Pure riuscire ad addormentarsi sarebbe difficile, ma è ancora troppo presto.
Vorrei solo sprofondare nel letto con i Marinai Perduti e perdermi con loro. Un po' sarebbe anche perdermi con te.
E saremmo già a Marsiglia. Questo letto sarebbe grande come il porto e dai vetri si vedrebbe il mare. I cinesi forse ci sarebbero lo stesso, ma farebbero il verso dei gabbiani.

Benjamin ha scritto delle cose su quella città, quando le ho lette ho capito che non potevo non leggerle, ma non le ho sottolineate. Non volevo togliere dei pezzi o trattenerle. Io volevo solo leggertele. Ma so che non lo farò perché mi vergogno della mia voce. E anche di non riuscire a scrivere così.

"Ché in questi angoli abbandonati ogni suono e ogni cosa hanno il proprio silenzio, come sulle alture a mezzogiorno c'è un silenzio dei galli, un silenzio dell'accetta, un silenzio dei grilli."

E parlando della Cattedrale scrisse "Questa è a Marsiglia la stazione della religione. Carrozze letto con destinazione l'eternità vengono fatte partire all'orario delle messe".

Guardo fuori. È buio, c'è la neve e quel grande albero è ancora lì. Più nessuno ti spia dalla finestra. Resto io ad ammainare le vele di questa giornata stanca.

giovedì 26 gennaio 2012

Provo ad andare a capo, invece faccio rima.

Una poesia è più vergognosa da mostrare.
Eppure non è più personale
di un lungo racconto o di una pagina di giornale.
Sarà che il senso è disseminato
in tutti quegli a capo:
niente capita a caso,
e devi sapere dove fermarti a tirare fiato.

Le pause per respirare ci sono sempre,
così ti accorgi che è una poesia d'amore
solo se nonostante le virgole i punti e gli a capo
alla fine ti manca il fiato.

Provo ad andare a capo.

Voglio scrivere una poesia
ma non succede da anni.
Temo che con la pigrizia
il muscolo della poesia si sia troppo contratto
e ora si strappi.

A vent'anni sapevo ancora andare a capo
e non mettere i punti.
Poi ho iniziato a sistemare una
parola
dietro
l'altra,
perché sembravano avere più senso,
o meglio,
averne uno solo.
Andavano tutte a costruire quella lunga riga dritta, la mia vita.
E poi punto. Punto. Punto.
Anche dopo una sola parola.
Forse era solo una scorciatoia.

Ora vado a capo,
di nuovo,
e so che al prossimo a capo, ci sei
tu.

venerdì 20 gennaio 2012

Siamo i surgelati che mangiamo.

Penso alla somiglianza che c'è tra me e i cubetti surgelati surgelati di foglie di spinaci.
Ma c'è somiglianza poi?

Carote – tasto numero 42

Gambe incrociate sopra la sedia, la tovaglia di cerata a fiori blu. Il coltello sopra al piatto. Ho finito la cena. La vellutata era pure poca, perché con i surgelati non mi regolo, non ne ho mangiati quasi mai.
Sorseggio la birra rossa che ho aperto senza averne davvero voglia. Quella che prendevo a sedici anni, non che me li voglia ricordare, i miei sedici anni. Stefano mi ha detto che a luglio si sposa. "Congratulazioni Stefano!" e pacche sulla spalla.
Mi sono trascinata la spesa a casa, arrancando. Poteva essere anche mezzanotte, invece erano solo le otto passate. Tra parentesi Dio benedica il Carrefour aperto fino alle 22.
La stanchezza mi ha sopraffatto e io non sono riuscita a imbustarla e a pesarla sulla bilancia con tutti i tastini numerati fino a 99, anche perché non avrei saputo a che prezzo pagarla. Per non sbagliarmi nel prezzare le verdure ho preso tutto: carote, cipolle e patate. Giusto perché avevano i codici in successione. 42, 43, 44. Carico il carrello.
Non me ne frega niente. Se non ho trovato la farina, se ho dimenticato le uova, se il vino fara cagare e anche se non riesco a trovare le parole giuste.
Quando ho scoperto che abiti al quinto piano ci sono rimasta male, perché non me l'ero immaginato minimamente. Anzi pensavo che lì non ci fossero nemmeno case di cinque piani. Così mi sono chiesta chissà cosa si vede dalle tue finestre. Io non c'ho mai abitato al quinto piano, il massimo è stato il secondo. Non m'immagino nemmeno come ci si senta, anche se poi mi sa che ti senti per terra tanto quanto quelli del primo piano o del cinquantaduesimo.
Mi sono anche domandata quante altre cose mi sono immaginata sbagliate. Però non te le chiedo.
Non ti chiedo niente perché non sono capace. Non ti chiedo niente perché ho paura, perché mi hai detto così. Non ti chiedo niente, ma tu dimmi quello che vuoi.
E vorrei scrivere ancora, magari di te, magari di niente però così rovino la chiusa. Ma me ne fotto. Non c'ho voglia nemmeno di farmi il bagno ma sento già la vasca che si riempie. Sono io.

domenica 15 gennaio 2012

Non è normale.

Sei seduta al tavolo di un bar, uno non troppo bello né troppo brutto, un bar.
Ordini un tè e capisci che forse è meno bello di quanto sembri perché la scelta è tra limone o senza. Anche questa volta ti berrai l'English breakfast, anche se sono quasi le sei di pomeriggio e la colazione è passata da un pezzo. Ma ti piace così. Un tè è un tè, punto.
Poi te lo portano e ti portano anche delle pastine, una a testa. E ti spaventi in modo manifesto, ti preoccupi perché non sai cos'è e soprattutto non l'avevi chiesta.
Ti rassicurano "sono buone, le facciamo noi". Allora la mortificazione è doppia perché non solo non hai per niente fame – stai ancora digerendo l'omelette con la pancetta di due ore prima – ma perché non sei più capace di pensare che qualcosa arrivi senza chiedere, senza pregare.
Parli, ridi, le paste stanno lì un po' antiestetiche. Forse c'è dell'uvetta, forse anche delle prugne. Forse. Sai che non le mangerai, allora non le tocchi. Speri che questa fortuna possa capitare a qualcun altro, a uno più affamato o ingordo.
Poi prendi la sua mano e magari ci scappa anche un bacio perché nessuno ti ha mai spiegato se sono cose che si possono fare a tavola o no, e allora a te pare che si possano fare.
La baci. E quando torni col pensiero su quella sedia ti giri e ti stupisci se nessuno vi sta guardando.
La teiera è ormai vuota, il tè nerissimo perché la bustina è rimasta lì e il limone è spolpato da mò. Approfitti di quando si alza per andare a pagare, senza farti notare. Ma i tè sono già stati pagati. Cerchi in tutti i modi di dirgli che no, non li hai pagati e nemmeno lei può averlo fatto perché è rimasta seduta di fronte a te tutto il tempo. Ma il proprietario dice "Erano i due té, quelli del tavolo in fondo no? Sì sì già pagati!"
Allora ringrazi e torni a sederti, in fondo perché insistere. Continui a pensare che ci sia un errore. Uscite salutando, e ti senti un po' come quando al supermercato hai messo l'etichetta champignon sul sacchetto dei funghi porcini, come se avessi appena rubato qualcosa.
Non ci credi che qualcuno possa aver pagato quei té, avervi fatto un piccolo regalo. Uno sconosciuto.
Camminando decidi che è una cosa bella, è uno di quei segni, e allora stamattina la cambierai la lampadina dell'ingresso, quella che ti impedisce di entrare in casa senza buttare giù i vasi ming e le composizioni di fiori secchi, senza invocare la madonna.
Non la sostituisci con una lampadina nuova – perché non l'hai trovata – ne prenderai una dal mobiletto del bagno perché lì è meno utile, perché la vita è così.
Ma va bene comunque perché ora quell'interruttore avrà uno scopo e tu potrai tornare a casa e accendere la luce. Bentornata.

mercoledì 11 gennaio 2012

Allora guardo avanti che con il vento di questi giorni si dovrebbe vedere pure bene.

Succede che non ho voglia di scrivere. Però ho riaperto un libro e ne ho scelti altri dagli scaffali. Alcuni stanno lì da anni ma cambiargli ripiano è già qualcosa. Proust non lo trovo più, sarà destino.
Ora anche io sulla metro posso mettermi a leggere, anche se adesso faccio solo tre fermate. Allora prendo l'autobus, così sono quattro pagine in più, che a volte vuol dire un intero capitolo.
Poi ti telefono la notte – dopo la mezza è proprio notte – e mi piace perché capisco quando ti stai per addormentare. Sì questo l'ho capito subito, non c'è bisogno che tu me lo dica.
E non mi era mai capitato che qualcuno si addormentasse così, con la voce che si fa incomprensibile, lontana. Poi le sillabe si mischiano quasi a caso, infine sussurri. Stai dormendo.
Ti dico buonanotte, ma non lo senti già più.
Succede che vorrei concludere tutte le cose che sedimentano nella testa o nel taccuino da tempo. Perché occupano spazio, inutilmente. Concluderle o buttare via tutto perché forse ormai sa di vecchio. Come le cose che stanno nel mio frigo, che poi se aspetti troppo fanno schifo anche nella ricetta più buona. Forse sono io che sono invecchiata, non sono più quella lì, quindi basta buttiamo perché io lo so che non mi riciclo. Niente raccolta differenziata per me.



martedì 3 gennaio 2012

L'eterno ritorno delle patatine.

Mi vengono su le patatine.
Ho riempito il piatto per non lasciarlo vuoto e poi l'ho svuotato per non lasciarlo pieno. Poi l'ho riempito di nuovo e svuotato un'altra volta, sempre per le stesse ragioni.
E ho messo in bocca per non lasciare la bocca vuota. Un po' di patatine, un po' di parole, poi ancora patatine poi discorsi vuoti portati avanti dall'alcol.
Abbiamo anche riso e ci siamo sentiti vagamente simili, in realtà la serata l'abbiamo riempita come le nostre bocche, tutti e due, perché non volevamo stare da soli. Non era il momento.
Se ripenso a tutte le parole mi vengono su anche loro come le patatine e la salsa guacamole e i tacos e i cubetti di formaggio che poi erano più parallelepipedi e la mortadella tagliata a pezzi ma non abbastanza per separarli e l'insalata il patè d'olive i taralli la pizza e tutto quel ghiaccio che annacquava il mio spritz. Sempre troppo dolce, sempre troppo acqua. Il tutto senza virgole, senza intervalli. Patatina tacos guacamole tacos guacamole patatina patatina.

Non c'ho abbastanza fegato per cambiare ora, mi basta giusto a digerire tutte le schifezze di quest'aperitivo. O forse se veramente credessi di poter stare meglio di così le infilerei due dita in gola per vomitare tutto. È che in fondo non sto così male, era solo lo stomaco sottosopra, era solo una giornata storta. E poi domani è tutto diverso, domani non è così. Ci vediamo domani.

lunedì 2 gennaio 2012

To do or not to do. Andrà così.

Nella lista dei buoni propositi potrei mettere leggere, scrivere, correre, pensare e fare l'amore.
Tutti verbi di movimento. Eh sì, nel nuovo anno c'è bisogno di moto. E di fianco a ognuno potrei aggiungere "di più". Leggere di più, scrivere di più, correre di più, pensare di più e fare l'amore di più. Eh sì, nel nuovo anno c'è bisogno anche di abbondanza.
Guardando la vecchia lista però noto che ho spuntato solo poche voci, allora desisto, quest'anno non la scrivo.
Quest'anno l'unica cosa che voglio davvero è smettere di fare cose che non ho voglia di fare. Domani però suona la sveglia. Credo non ci sia altro da dire.