mercoledì 28 dicembre 2011

Gli spazzolini, le radio e i miei 8 anni.

Li ho contati sono otto. Otto spazzolini sparsi per il Norditalia.
Forse il nuovo anno dovrebbe cominciare col buttarne via almeno un paio. Anche perché, si sa, dopo un mese gli spazzolini andrebbero buttati sempre, diventano covi di batteri. Magari in ufficio ne tengo uno solo.
L'A31 mi ha permesso di fare anche un'altra considerazione. Non doveva esistere una versione in italiano di Moonlight Shadow. Perché? Perché l'hanno fatto?
Era tanto che non ascoltavo la radio, quella bieca che puoi ascoltare solo mentre guidi ed è buio e soprattutto non hai nessun cd in macchina. Quella con continui quiz dove vinci cappellini, orologi e magliette brandizzate dalla radio o se ti va peggio i biglietti per il concerto di Gigi d'Alessio a Oristano o per l'Aquafun.
Però sbrigatevi perché il premio è per il più veloce. E per una volta fottetevene se il numero è sempre un wind, spendeteli questi 15 centesimi.
Io lo vinsi il cappellino alla pescatora, nero. Il logo era in rilievo ma si nascondeva bene. Lo dimenticai su un autobus o su un treno, sapevo che non avrei dovuto andarci lì dove dovevo andare.
La voce mi tremava e non dedicai la mia vittoria a nessuno. Avevo 13 anni e non avevo nessuno da salutare.
Per non parlare di tutte le volte in cui, qualche anno più tardi, richiesi sempre la stessa canzone a Radio Italia Solo Musica Italiana. Interi pomeriggi rovinati dalla peggiore musica italiana per cercare di registrare quella canzone. Bè non potevo certo comprarmi tutto l'album di Gatto Panceri per sentire una canzone. Un album che per altro di sicuro non tengono a Ricordi, perché chi se ne vuole ricordare? E poi nemmeno l'aveva dedicata a me, ma le ricordava la sua ex. Momenti davvero bassi, vabbè.
Stasera era così buio che se avessi avuto bisogno di leggere i cartelli mi sarei persa. Ma in fondo avrei voluto perdermi, prendere un'uscita a caso, fermarmi in un motel, di quelli con il cartello zimmer frei/camere libere. Pura retorica perché nessuno si immagina che ci possa essere il tutto esaurito, anzi ci si chiede che ci faccia quel motel lì. Forse Hitchcock è passato nel Pedemonte.
Sceglierei quello piazzato in curva e scenderei per chiedere "dove sono?". Mi fermerei a mangiare il minestrone e il formaggio, dormirei per poi svegliarmi senza patente e con soli 8 anni.
Fatemi tornare ai miei otto anni per un giorno. Perché voglio davvero nascondermi dietro le lenzuola stese e scambiare le colline per montagne e lo stagno per un lago, voglio ricordarmi tutto più grande e credere che andrò dappertutto e potrò fare qualunque cosa. Anche ricordarmi come si cucina dopo anni.

domenica 25 dicembre 2011

Natale, si mangia.

Mi sono vestita bene. Mi sono messa il profumo, la matita. Mi sono fatta le labbra più rosse.
Ho messo il vestito nero, quello nuovo. Facevo anche finta mi salisse un po'.
Volevo mi vedessi, anche se non c'eri.
Invece ho deliziato solo gli occhi di mia madre, che immancabilmente ha scattato foto con il suo cellulare. Un Nokia del cazzo dove riesco ad assomigliare nello stesso scatto a Belen e alla Montalcini, dove la Croazia può essere il lago d'Orta e lo stagno di Hide Park, insieme. Ma lei scatta, con l'occhio che luccica e quel suono fragoroso in differita. Si sente due minuti dopo, quando è già nella borsa, sembra quella pubblicità della Durex.
Bè, io non volevo essere bella.
Mi sono preparata con cura, ma non me ne fregava un cazzo che fosse un giorno di festa. Non c'era nessuna festa, non c'era nessun regalo. Era un altro Natale.
Vestirsi bene per sedersi a un tavolo a mangiare un pennuto castrato e lessato con delle carote. A pensarci viene una tristezza infinita. Mia nonna che quando le dicevo che il golfino le stava bene mi rispondeva che c'era ancora panettone e che le avevano tolto le tonsille quando aveva nove anni.
"Nonna oggi sembri più giovane." Sì, non dimostrava 96 anni, forse solo 83.
C'è un momento in cui non dimostri più una certa età, ma solo la tua vecchiaia. Sei solo vecchio, non importa quanto.
E i vecchi hanno qualcosa di sempre uguale. Le rughe, la poltrona, la lana ruvida, il fazzoletto e il silenzio. Forse davvero non pensano più. Il silenzio lo conoscono solo loro.
Altro che meditazione e ascesi, basta far passare la vita per conoscere il vuoto.
Mi muovevo con grazia, nella dose limitata che mi è stata concessa dalla natura, accavallavo le gambe, mi sistemavo il vestito lisciandomelo sul culo con le mani, senza essere volgare.
Per nessuno dei presenti. Io volevo essere tua.

sabato 24 dicembre 2011

Risparmiare non è un buon proposito.

Ore 10.30, vigilia di Natale.
Ho già dovuto sentire la filosofia dell'idraulico e le sue gesta di expompiere, incartare pacchetti senza amore e senza nastro, mangiare un panettone ricoperto di crosta di nocciole, leggere status colanti muco su Facebook, sentire mia madre reclamare la scopa elettrica. "La tieni tu vero?" Non vorrai mica lasciare la vecchia scopa elettrica alla ragazza con cui hai condiviso il letto per quasi sei anni. E mi chiedo quanto amore può suscitare una scopa elettrica? E quanta cattiveria?
Poche ore a casa sono state sufficienti a farmi capire che tutto il prossimo anno sarà impegnato a lottare contro le aspirazioni borghesi. Sarà una lotta dura e ricca di bassezze.
Lasciar marcire l'abbonamento a teatro - anche perché è l'abbonamento coppia - non iniziare con la crema antiage, smetterla con le scarpe da running, l'omeopata e i weekend a Santa Margherita Ligure. Oppure finalmente cedere, fare anche un altro abbonamento a teatro, comprarmi il piumino Moncler - borghese sì ma pur sempre parvenue, quindi non tenuta a sapere l'ortografia e la pronunica delle parole francesi - e tornare a Saint Moritz col trenino anche se mi ha fatto cagare. Trovarmi un monolocale tutto incastri di desain, con il soppalco e l'affaccio naviglio e pagarlo con quasi tutto lo stipendio, iniziare ad ascoltare musica jazz pur continuando a non capirci un cazzo e prendere il calice dallo stelo per non scaldare il vino. Forse anche farmi fare la manicure dalle russe. Già che ci sono potrei sforzarmi di avere un uomo, giusto per dire che se volessi potrei averlo. Deliri di onnipotenza ecco la vera essenza della borghesia.
Mia madre sta già preparando la tavola e sono le 11.30. E la carta igienica ha dei tulipani blu e la scritta mega e io non voglio pulirmi il culo con dei megatulipani blu.
E dopo anni c'ho voglia di comprarmi un dvd. Fanculo, oggi pomeriggio vado in videoteca.
L'unica cosa certa del futuro è che non voglio risparmiare, niente.

giovedì 22 dicembre 2011

Non me ne vado.

È da un po' che non scrivo.
Mi è bastato darmi alla conquista, alle nottate insonni e non perché ti cola in continuazione il naso, per perdere interesse in ogni altra cosa.
Basta tumblr, basta feed su feed, basta mangiare, pensare di cambiare lavoro o guardare le offerte ryanair. Basta.
Mi basta solo guardarti mentre ti stringo le gambe sotto il tavolo di un bar. Noi scegliamo sempre quelli più tristi con le tovaglie bruciate dalle sigarette e i menu plastificati, quelli dove mai nessuno si è baciato, figuriamoci due donne. Ti guardo e ascolto quello che dici, però mi rendo conto che non riesco proprio bene a fare tutte e due le cose insieme e sono più impegnata a guardarti. Però ti ascolto e tento di ricordarmi tutto. Ma non mi ricordo i libri che mi dici di leggere, né i film. Forse non voglio diventare una persona migliore e mi vergogno ad annotarmi le cose lì per lì.
Ma il resto me lo ricordo. Mi ricordo quando ti togli gli occhiali come cambia il tuo viso. Mi ricordo le piccole rughe che hai sulle guance e attorno agli occhi, forse i sorrisi ti sono costati molto.
E poi mi ricordo che quand'è successo non ho potuto guardarti in faccia perché la luce era spenta, allora me la sono immaginata. Ma credo sia molto più bella di così.
E pensare che quella lampada funzionava, avremmo solo dovuto attaccare la spina, ma nessuna delle due ci ha pensato.
Ogni mattina mi arriva la newsletter degli annunci di jobrapido, ma non me ne frega un cazzo. Chi si muove più da qui. A volte apro i link giusto per non sentirmi in colpa.
Web marketing assistant, social media specialist, editor. Non me ne vado, te l'ho detto, non me ne vado. Sappilo.




venerdì 2 dicembre 2011

You & Me.

Durante l'adolescenza la you&me è sempre stata sinonimo di maledizione, altro che risparmio.
Ci volevano mesi prima di decidere di investire un deca in una carta servizi per il cambio di numero. Mesi di interrogativi: Ma è davvero la persona giusta? Durerà?
La risposta ovviamente era no. Durava giusto giusto un mese dall'attivazione – sì perché dovevi anche aspettare 48 ore dopo aver sborsato – e in un mese e 48 ore quello che avevi creduto l'amore della tua vita si trasformava nella persona più brutta e senza senso.
E poi eri fottuto perché mica ce le avevi altre diecimila lire per cambiare il numero di nuovo. Avresti dovuto aspettare la prossima mancia della nonna, quella per i gelati, ma che delusione se avesse saputo come avresti investito quel sudato capitale.
Sì, sarebbe stato meglio mettere il numero della tua amica del cuore, anche se lei la chiamavi già gratis dal fisso. E poco importa se la tua sim card aveva bisogno di stabilità più di te, se non sei mai riuscito a garantirle niente.
In questi giorni ho scoperto però che forse la maledizione è finita. La You&Me non esiste più. Ora c'è solo il tuo numero preferito. Molto meno definitivo, ci sta che lo puoi cambiare. Ci sta pure che per un mese sia tua madre e quando si rompe la caldaia sia quello dell'idraulico. Ora ci sta tutto.

giovedì 1 dicembre 2011

La gioia delle vasche.

È il secondo giorno di fila che metto la sveglia per andare a nuotare la mattina presto. Ed è il secondo giorno di fila che mi sveglio alle 5 e la spengo.
Andare a nuotare prima del lavoro è stata un'esperienza talmente estatica che non la riesco a ripetere. Mi ha avvicinato all'assoluto.
Solo io e una vecchia signora nella corsia dell'andatura lenta. Tra le 8.45 e le 9 io sola.
Il nuoto aveva perso parte del suo fascino: l'alienazione. Non c'erano le signore dell'acquagym, non ho preso calci dalle rane della corsia veloce, né mi sono sentita pressare dalle bracciate a stile del natante dietro di me. Anche il vapore e il cloro sembravano dolci in quel martedì di pioggia battente.
In fondo quando mi getto a forza nell'acqua gelida so che è più uno sforzo psichico che una lotta al grasso superfluo e al torpore muscolare. In tutta questa rilassatezza non sono riuscita a risolvere il problema maggiore, cioè cosa pensare mentre nuoto.
Io proprio non capisco quelli che dicono che quando nuotano non pensano a niente, che nuotare gli libera la mente. Per me nuotare è una lezione di algebra.
Da quando mi tuffo, in modo piuttosto sgraziato, ma pur sempre di pancia – perché di far la figura della femmina che ha bisogno della scaletta proprio non mi va – comincio a contare e non finisco finché non rimetto le ciabatte ai piedi. Uno, uno, uno, uno... per tutta la prima vasca. Due, due, due, due per tutta la seconda, e poi tre, quattro, venti. Poi forse ci sta una pausa, ma sto cercando di lavorarci ed eliminarla. Avanti così.
Gli occhialini si appannano quando ancora sto nuotando a rana, l'acqua non è più azzurra e tutto diventa indefinito. Cerco di tenere un ritmo, inutilmente.
Eppure il nuoto è matematica. Dieci vasche a rana, dieci a stile. È ripetizione e quindi mortificazione. Penso che per rendere questa esperienza davvero sublime dovrei concedermi il lusso del costume intero, quello della Decathlon. La cuffia di silicone ce l'ho già, rosa.
Mi sono quasi convinta, domani ci vado. Allora ci vediamo alla Cozzi, prima o poi.