domenica 25 dicembre 2011

Natale, si mangia.

Mi sono vestita bene. Mi sono messa il profumo, la matita. Mi sono fatta le labbra più rosse.
Ho messo il vestito nero, quello nuovo. Facevo anche finta mi salisse un po'.
Volevo mi vedessi, anche se non c'eri.
Invece ho deliziato solo gli occhi di mia madre, che immancabilmente ha scattato foto con il suo cellulare. Un Nokia del cazzo dove riesco ad assomigliare nello stesso scatto a Belen e alla Montalcini, dove la Croazia può essere il lago d'Orta e lo stagno di Hide Park, insieme. Ma lei scatta, con l'occhio che luccica e quel suono fragoroso in differita. Si sente due minuti dopo, quando è già nella borsa, sembra quella pubblicità della Durex.
Bè, io non volevo essere bella.
Mi sono preparata con cura, ma non me ne fregava un cazzo che fosse un giorno di festa. Non c'era nessuna festa, non c'era nessun regalo. Era un altro Natale.
Vestirsi bene per sedersi a un tavolo a mangiare un pennuto castrato e lessato con delle carote. A pensarci viene una tristezza infinita. Mia nonna che quando le dicevo che il golfino le stava bene mi rispondeva che c'era ancora panettone e che le avevano tolto le tonsille quando aveva nove anni.
"Nonna oggi sembri più giovane." Sì, non dimostrava 96 anni, forse solo 83.
C'è un momento in cui non dimostri più una certa età, ma solo la tua vecchiaia. Sei solo vecchio, non importa quanto.
E i vecchi hanno qualcosa di sempre uguale. Le rughe, la poltrona, la lana ruvida, il fazzoletto e il silenzio. Forse davvero non pensano più. Il silenzio lo conoscono solo loro.
Altro che meditazione e ascesi, basta far passare la vita per conoscere il vuoto.
Mi muovevo con grazia, nella dose limitata che mi è stata concessa dalla natura, accavallavo le gambe, mi sistemavo il vestito lisciandomelo sul culo con le mani, senza essere volgare.
Per nessuno dei presenti. Io volevo essere tua.

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