domenica 15 gennaio 2012

Non è normale.

Sei seduta al tavolo di un bar, uno non troppo bello né troppo brutto, un bar.
Ordini un tè e capisci che forse è meno bello di quanto sembri perché la scelta è tra limone o senza. Anche questa volta ti berrai l'English breakfast, anche se sono quasi le sei di pomeriggio e la colazione è passata da un pezzo. Ma ti piace così. Un tè è un tè, punto.
Poi te lo portano e ti portano anche delle pastine, una a testa. E ti spaventi in modo manifesto, ti preoccupi perché non sai cos'è e soprattutto non l'avevi chiesta.
Ti rassicurano "sono buone, le facciamo noi". Allora la mortificazione è doppia perché non solo non hai per niente fame – stai ancora digerendo l'omelette con la pancetta di due ore prima – ma perché non sei più capace di pensare che qualcosa arrivi senza chiedere, senza pregare.
Parli, ridi, le paste stanno lì un po' antiestetiche. Forse c'è dell'uvetta, forse anche delle prugne. Forse. Sai che non le mangerai, allora non le tocchi. Speri che questa fortuna possa capitare a qualcun altro, a uno più affamato o ingordo.
Poi prendi la sua mano e magari ci scappa anche un bacio perché nessuno ti ha mai spiegato se sono cose che si possono fare a tavola o no, e allora a te pare che si possano fare.
La baci. E quando torni col pensiero su quella sedia ti giri e ti stupisci se nessuno vi sta guardando.
La teiera è ormai vuota, il tè nerissimo perché la bustina è rimasta lì e il limone è spolpato da mò. Approfitti di quando si alza per andare a pagare, senza farti notare. Ma i tè sono già stati pagati. Cerchi in tutti i modi di dirgli che no, non li hai pagati e nemmeno lei può averlo fatto perché è rimasta seduta di fronte a te tutto il tempo. Ma il proprietario dice "Erano i due té, quelli del tavolo in fondo no? Sì sì già pagati!"
Allora ringrazi e torni a sederti, in fondo perché insistere. Continui a pensare che ci sia un errore. Uscite salutando, e ti senti un po' come quando al supermercato hai messo l'etichetta champignon sul sacchetto dei funghi porcini, come se avessi appena rubato qualcosa.
Non ci credi che qualcuno possa aver pagato quei té, avervi fatto un piccolo regalo. Uno sconosciuto.
Camminando decidi che è una cosa bella, è uno di quei segni, e allora stamattina la cambierai la lampadina dell'ingresso, quella che ti impedisce di entrare in casa senza buttare giù i vasi ming e le composizioni di fiori secchi, senza invocare la madonna.
Non la sostituisci con una lampadina nuova – perché non l'hai trovata – ne prenderai una dal mobiletto del bagno perché lì è meno utile, perché la vita è così.
Ma va bene comunque perché ora quell'interruttore avrà uno scopo e tu potrai tornare a casa e accendere la luce. Bentornata.

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